Una città ancora troppo auto-centrica

In Europa, il 72% delle emissioni di CO2 viene prodotto dal trasporto stradale, dove le autovetture sono fra i mezzi più inquinanti. L’Italia presenta un tasso di motorizzazione tra i più intensi: 60 auto ogni 100 abitanti. 

Questo uso intensivo del trasporto motorizzato privato impatta notevolmente sulla produzione di CO2 nella città di Torino, che spesso non riesce a rispettare i limiti di legge generando un incremento nelle concentrazioni degli inquinanti che può raggiungere valori critici per la salute delle persone, per l’equilibrio degli ecosistemi e, per quanto riguarda gli inquinanti ad “effetto serra”, anche per il clima.

Bisogna inoltre considerare non solo la quantità di CO2 prodotta durante l’uso di un’auto, ma anche le emissioni causate dalla produzione e dallo smaltimento, considerandone tutto il ciclo di vita. In questo senso, l'alternativa apparentemente sostenibile dei veicoli elettrici non sembra essere al momento così valida, in quanto in fase di produzione e smaltimento risultano essere meno ecologiche delle auto alimentate a gas o a combustibili fossili. L’Unione Europea ha stabilito l’obiettivo di ridurre entro il 2030 le emissioni dei trasporti del 60% rispetto ai livelli del 1990. Una ridefinizione della mobilità urbana è quindi urgente e necessaria, cambiando però l'approccio con cui si concepisce la mobilità in città. La vera alternativa sarà rappresentata dall'abbandono del modello "auto-centrico" per abbracciare soluzioni più sostenibili come la mobilità pedonale o ciclabile, oltre a promuovere investimenti sul trasporto collettivo e di sistemi di sharing.

Quasi metà delle persone intervistate hanno espresso il desiderio di implementare una mobilità più sostenibile all’interno del quartiere. San Donato è attraversato e circondato da corsi e arterie fondamentali per la viabilità di Torino, densamente trafficate, e la mobilità nelle vie interne favorisce gli spostamenti in automobile rispetto a quelli ciclabili e pedonali. In questo senso il quartiere rispecchia perfettamente la tendenza torinese a vivere la città come auto-centrica. Negli anni si è registrato un calo nell’utilizzo dell’automobile privata e dei mezzi pubblici a favore degli spostamenti a piedi e in bici, ma il mezzo motorizzato privato rimane ancora quello più usato.

 

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Il nostro laboratorio Percorsi a due ruote

Insieme a Bike Pride Torino abbiamo esplorato il quartiere di San Donato in bicicletta in lungo e in largo. A partire da questa esplorazione abbiamo provato a creare una “strada scolastica”, ovvero un itinerario che collega gli istituti scolastici del quartiere per incoraggiare la mobilità ciclabile e la sicurezza delle famiglie. Dopodiché, abbiamo analizzato come questo percorso possa essere comunicato alla cittadinanza con segnaletica visiva efficace. 

Andare in bici è pericoloso? Perché?

Torino è al 25° posto in Italia per chilometri di corsie ciclabili. I numeri legati ai morti e feriti causati dagli incidenti stradali sono molto elevati: nel 2019 si sono registrati 5 morti e feriti ogni 1000 abitanti, in linea con la media nazionale ferma a 5,5 morti e feriti ogni 1000 abitanti. Molte persone dichiarano di non utilizzare la bicicletta per gli spostamenti quotidiani a causa di una sensazione di pericolo e insicurezza dovuta alla mancanza di una rete ciclabile ben connessa, ad una segnaletica non adeguata, al manto stradale e alla pavimentazione degradata. 

Alla domanda "La tua attività si trova in una via a basso flusso di traffico o pedonale?" il 58% ha risposto “no” e il 17% ha risposto “in parte”. Queste risposte denotano una conoscenza poco accurata degli elementi di mobilità leggera del quartiere. In San Donato non sono presenti piste ciclabili né aree pedonali (ad eccezione di un breve tratto di via Durandi). Inoltre, le interviste sono state effettuate principalmente lungo le arterie principali del quartiere (via Cibrario, via San Donato, corso Regina Margherita), che sono strade molto trafficate da mezzi motorizzati privati e commerciali. La conformazione e la viabilità del quartiere scoraggiano, di fatto, la mobilità pedonale e ciclistica. Riguardo alla percezione della sicurezza invece, il 60% delle attività intervistate ha dichiarato che non ritiene le strade di San Donato sicure per gli spostamenti a piedi e/o in bici.

La cosiddetta “bassa San Donato” è stata recentemente oggetto di interventi sperimentali dedicati alla mobilità dolce, finanziati con i fondi PON METRO Città Metropolitane 2014-2020. Questi interventi riguardano l’accesso sicuro agli edifici scolastici, la moderazione della velocità nelle vie del quartiere grazie alla creazione di alcune aree rialzate in corrispondenza di incroci, a vantaggio della categorie considerate più a rischio, come pedoni, ciclisti, persone in sedia a rotelle e così via.

 

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Il nostro laboratorio Percorsi a due ruote

In città è più veloce una bicicletta o un’automobile? Abbiamo risposto a questa domanda con Svelò - la gara dei 15 minuti, una gara di velocità in cui lo stesso tragitto è stato percorso in macchina e in bici dai partecipanti, facendo diverse tappe all’interno del quartiere. Le due ruote si sono dimostrate molto più efficienti e molto meno stressanti!

Torino e l’inquinamento dell’aria

Se si considera il valore soglia per la protezione della salute consigliato dall’Organizzazione Mondiale della Sanità di 20 μg/m3 per il PM10 e di 10 μg/m3 per il PM2,5, il 94% e il 100% della popolazione urbana del Piemonte ogni anno è esposta a concentrazioni superiori a tali soglie. Torino è situata nell'area più industrializzata d'Italia e tra le più industrializzate d'Europa. Inoltre la pianura padana è caratterizzata da una conformazione morfologica che rende difficoltosa la dispersione degli inquinanti. La qualità dell'aria di una città è influenzata anche dalla presenza o meno di diversi agenti atmosferici (il calore, il vento, la pioggia) e dalla stagionalità (uso del riscaldamento in inverno, isole di calore in estate, ad esempio).

Il trasporto su strada con autovetture ad uso privato ed individuale, che a Torino si registra molto intenso, influisce fortemente sulla qualità dell’aria in città. Negli ultimi 30 anni questa qualità è migliorata in modo significativo, anche se i valori recentemente registrati risultano ancora preoccupanti. Nelle principali aree urbane si misurano le maggiori concentrazioni di inquinanti che possono determinare situazioni di pericolo per la salute, tali da individuare la loro rimozione come Obiettivo n° 11 dell’Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile “Rendere le città e gli insediamenti umani inclusivi, sicuri, duraturi e sostenibili". L’inquinamento atmosferico è infatti la prima causa di decessi prematuri per fattori ambientali in Europa, ma ha anche considerevoli ripercussioni economiche. Aumenta le spese sanitarie e riduce la produttività economica a causa delle precarie condizioni di salute dei lavoratori. L’inquinamento atmosferico danneggia anche il suolo, le colture, le foreste, i laghi e i fiumi. Gli inquinanti danneggiano persino le nostre case, i ponti e altre infrastrutture. Le misure volte a limitare l’inquinamento contribuirebbero quindi a migliorare la nostra qualità di vita, a risparmiare denaro nell’assistenza sanitaria e nella manutenzione delle infrastrutture, oltre a proteggere l’ambiente.

 

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Il verde urbano migliora la vita

Nel quartiere San Donato la presenza di aree verdi è decisamente polarizzata, con una grande estensione della parte bassa del quartiere e un’estensione molto limitata nella parte alta. Diverse aree verdi sono poco valorizzate, non accessibili o degradate. Circa ¼ delle persone che hanno risposto al questionario hanno indicato il verde urbano come elemento che vorrebbero incrementare all’interno del quartiere.

La presenza di verde all'interno del tessuto urbano aumenta sensibilmente la qualità della vita della popolazione e rappresenta un'opportunità sociale per tutta la comunità. Infatti, i parchi e i giardini pubblici possono diventare luogo di aggregazione tramite la fruizione quotidiana e lo sport, come già accade a Parco Dora, e trasformarsi in luoghi di associazione e di incontro. Avere la possibilità di prendersi cura di una porzione di verde all'interno del proprio quartiere permette di stabilire un legame con il quartiere stesso, fattore che può produrre ricadute positive sul resto dell'area. Inoltre, le attività di cura collettiva del verde generano un senso di comunità, come accade ad esempio a San Donato con gli Amici di Piazza Paravia. Un'altra opportunità molto interessante è rappresentata dalla presenza di orti urbani, che permettono alle persone che vivono in un contesto fortemente urbanizzato di ridefinire il proprio rapporto con la natura attraverso la coltivazione, implementando inoltre le relazioni sociali grazie al lavoro di cura collettivo. Il valore sociale dell’orto urbano è evidenziato da un accresciuto interesse non più ricercabile soltanto nelle fasce anziane della popolazione, ma anche e soprattutto tra quelle giovanili. Un interesse dettato dal valore di incontro e scambio sociale, dal ritorno dell’attenzione verso una dimensione naturale e genuina dell’alimentazione, dal bisogno di recuperare una rapporto diretto con la natura e con la terra. 

In San Donato sono presenti due realtà che si occupano di orticolura urbana: Fiesca Verd e Orti al Centro. 

 

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Il nostro laboratorio La foresta urbana

Abbiamo percorso un viaggio in 7 tappe attraverso i prati di Parco Dora e le vie di San Donato, una passeggiata alla scoperta del verde che ci circonda e del suo prezioso valore per la città e i suoi abitanti. Insieme abbiamo imparato a riconoscere le piante e gli animali che popolano il quartiere e fatto tuffo nel passato per ripercorrere la storia di San Donato e del suo parco, provando a immaginare come si trasforma il tessuto urbano grazie alla vegetazione.

Gli alberi: difensori dell’ambiente 

Alla domanda "Scegli 3 opzioni che per te rappresentano il concetto di sostenibilità" un’alta percentuale di persone intervistate (circa il 40%) ha scelto "Presenza e cura degli spazi verdi". Inoltre sembra esserci una correlazione positiva tra la percezione della presenza di aree verdi e giardini nel proprio quartiere, la qualità della vita percepita e il giudizio estetico attribuito al quartiere. 

Questa relazione è in effetti corretta. La presenza di alberi, aree verdi pubbliche, aiuole e giardini privati, oltre ad avere ricadute positive sul benessere e sulla salute della cittadinanza, svolge diverse funzioni importanti per la città e per l’ambiente. Le aree verdi infatti aiutano ad assorbire i gas ad effetto serra, mitigano i rischi dei cambiamenti climatici, riducono l'inquinamento atmosferico, assorbono il rumore riducendo l'inquinamento acustico, svolgono una funzione di tutela del suolo e idrogeologica, contribuiscono alla termoregolazione dell’ambiente urbano, attutiscono gli effetti negativi che l’abitato urbano genera sulla popolazione tramite le isole di calore, creano una barriera al processo di cementificazione e di urbanizzazione, aumentano e tutelano la presenza della biodiversità. Appare quindi necessario promuovere la tutela del verde urbano in città e sostenere gli investimenti che ne permettono l'espansione e la buona gestione.

 

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Il nostro laboratorio La foresta urbana

Un pomeriggio dedicato al giardinaggio urbano, durante il quale abbiamo realizzato una panchina fiorita da regalare al quartiere e tante bottiglie fertili da portare a casa per abbellire le nostre finestre. Abbiamo giocato e imparato con legno, vernici, semi, piantine e tanta terra, sentendoci giardinieri e giardiniere per un giorno!

Esiste un diritto al verde?

Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, trascorrere almeno 120 minuti a settimana nella natura è associato a un buono stato di salute, benessere e qualità della vita. 30 minuti in uno spazio pubblico ed aperto riducono immediatamente stress, ansia, rabbia e fatica, generando migliori prestazioni cognitive e aumentando la felicità. Sfortunatamente, solo una manciata di città soddisfa pienamente lo standard dell'OMS di un minimo di 9 m² di spazi verdi per abitante, per non parlare del valore ideale di 50 m² pro capite. Disponibilità, accessibilità e qualità degli spazi verdi e pubblici diventano quindi una condizione necessaria per costruire città sane, sostenibili e a misura di persona.

Torino è un esempio virtuoso, con 18.200.000 m² di verde a gestione pubblica e un rapporto di circa 20 m² per abitante: dato che è sopra la media europea (18,2 mq per abitante) ed è più del doppio della soglia minima raccomandata dall’OMS (9 m²). 11.000.000 m² di aree verdi (circa il 60% del verde pubblico) sono attualmente fruibili ad uso ricreativo. Gli alberi in città sono 110.000, di cui 60.000 collocati lungo 320 km di viali alberati ed altri 230.000 negli oltre 140 ettari di aree boscate collinari di proprietà comunale. Il verde pubblico urbano ha avuto un notevole incremento negli ultimi 30 anni: all’inizio degli anni ’70 la superficie era di circa 4.000.000 di m² per una popolazione di 1.100.000 abitanti (3,6 m² per abitante). Questi dati pongono la città di Torino ai primi posti in Italia per disponibilità pro-capite di verde urbano fruibile. 

In San Donato la distribuzione del verde appare molto polarizzata. La parte bassa del quartiere ha una disponibilità di verde molto superiore a quella alta, che presenta solo piccoli giardini, piazze e viali alberati. Nonostante la nuova e importantissima area del Parco Dora conferisca a San Donato un’identità molto verde, si registra la presenza di diverse aree - parchi e lungo fiume - e aiuole degradate e poco curate, che potrebbero invece rappresentare un elemento di valore per il quartiere e la cittadinanza, in quanto con accesso più diretto al verde rispetto al Parco Dora, posto in una posizione periferica rispetto al quartiere. 

 

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Sostenibilità ambientale è sostenibilità sociale

Cosa vuol dire inclusione sociale? A seconda dall'angolazione da cui guardiamo può significare cose anche molto diverse. La distribuzione dei pasti ai senza dimora, per esempio, o a chi sta vivendo un periodo più o meno lungo di povertà dovuta precarietà lavorativa. Ma anche tutte quelle azioni che accompagnano persone in situazioni di fragilità (per percorsi di vita sfortunati, esperienze di marginalità, malattie e disabilità) nell'acquisizione di abilità e competenze grazie ad esperienze di lavoro protette. Oppure ancora può voler dire aiutare persone che hanno vissuto gravi traumi relazionale (relazioni tossiche con fidanzati e mariti, coinvolgimento nella tratta di ragazze avviate alla prostituzione) mettendo a disposizione percorsi di accompagnamento. 

La riduzione delle disuguaglianze e la lotta contro la povertà e la povertà educativa sono tra gli obiettivi dell'Agenda 2030 dell'ONU per lo sviluppo sostenibile. Con l'Agenda 2030 l'ONU afferma che la sostenibilità è il risultato di una complessità di fattori e del loro intreccio. Ci dice anche che l'azione sociale nei confronti di uno qualsiasi di questi obiettivi dovrebbe tenere conto degli altri, sia in fase di progettazione che di realizzazione. In quanto cittadini di un quartiere dunque, l'impegno nella distribuzione dei pasti, il lavoro per combattere la povertà educativa, per ridurre la povertà, per favorire l'accesso al lavoro delle donne, sono obiettivi coerenti l'uno con l'altro che hanno solo bisogno di riconnettersi in un racconto e in azioni capaci di valorizzarli non solo nella loro specificità, ma nel loro intreccio. 

Infine, l'attivazione di dinamiche di inclusione sociale ha un impatto diretto sulla sostenibilità e la cura del quartiere: si eliminano spazi abbandonati, si favorisce l'integrazione e la gestione degli spazi comuni.

 

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Alcune realtà di San Donato che si occupano di inclusione e solidarietà:

La cura del quartiere

"La pulizia" è fortemente percepita come elemento di decoro e piacevolezza, legato alla qualità delle vita: 62 persone intervistate su 105 l’hanno indicata come necessità per un miglioramento del quartiere.

Ma cosa rende un quartiere pulito e decoroso? La stragrande maggioranza degli intervistati reclama servizi migliori dalla città: più passaggi per la raccolta dei rifiuti, una maggiore pulizia delle aree comuni, e così via. Tutti mezzi senz’altro utili ad aumentare la pulizia e il decoro, ma bisogna anche fare i conti con i costi maggiori da sostenere, che significano aumenti in tariffa, e soprattutto con un'idea di decoro come pulizia esteriore, dei palazzi, delle facciate, delle piazze. Se invece intendiamo per decoro anche l'idea di cura dello spazio pubblico che traspare dallo stato dei luoghi, allora capiremo che le immagini di quelle città perfette raffigurate sulle scatole di Playmobil, dove tutto è in ordine, ma niente è vivo, non sono forse il migliore obiettivo da porsi. 

Dalla letteratura sociologica sappiamo che pulizia e decoro dipendono anche da altri fattori: ad esempio dalla percezione che le persone hanno di un luogo come luogo di vita di cui gli abitanti stessi si prendono cura. Per esempio, il negozio che diventa luogo di distribuzione per i gruppi di acquisto solidale del quartiere, diventa immediatamente un luogo di incontro tra persone con valori e orientamenti se non simili, perlomeno compatibili. 

Dove gli abitanti costruiscono legami sociali, occasioni di collaborazione e lavoro comune, allora da lì nasceranno anche modi diversi di abitare gli spazi, e questi spazi si presenteranno come più gradevoli e puliti e verranno rispettati e curati dagli abitanti. Per dirla in breve: la cura genera cura. 
 

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Un quartiere che produce cultura (ma si parla poco)

Cosa sono gli eventi? Dalle feste di strada alle iniziative dedicate ai bambini, a festival musicali e incontri culturali, di eventi possiamo immaginarne molti e diversi. Questo perché una collettività che abita uno spazio comune ha bisogno di simboli condivisi, di luoghi dove ritrovarsi e riconoscersi, di produrre linguaggi e cultura. Possono esistere quartieri ricchissimi di istituzioni culturali eppure poveri di una vita culturale propria, cioè di una produzione culturale capace di entrare in risonanza con i cittadini e le cittadine. 

La parola “collaborazione”, in questo caso, è l’indizio più prezioso:è dalla collaborazione che possono emergere interessi, azioni, attività, capaci di produrre linguaggio, valori e orientamenti. Il quartiere San Donato non è affatto privo di risorse nel campo della produzione culturale. Tuttavia i linguaggi e le iniziative prodotte sembrano spesso separate le une dalle altre.

Ogni quartiere merita un'esplorazione, una visita, due parole con qualcuno che sarà ben felice di accogliere, presentare le proprie attività, ascoltare le richieste. Nei quartieri dove i legami orizzontali sono poco sviluppati è facile rinunciare. I luoghi della cultura del resto intimidiscono, sembrano linguaggi distanti da quelli consueti. Gli economisti della cultura chiamano quell'insieme di resistenze e difficoltà a creare una connessione tra offerta culturale e spettatori "costi di attivazione", e per superarli in effetti non è sufficiente l'azione spontanea degli spettatori, occorrono politiche attive di audience engagement da parte delle stesse istituzioni culturali.

Come è possibile costruire simili politiche in collaborazione con le istituzioni culturali esistenti nel quartiere? Alle istituzioni culturali occorre programmare e progettare, al cittadino spetta l'esplorazione e la certezza che le istituzioni culturali del suo quartiere sono ben felici di rispondere alle domande e di dialogare con chi ha voglia di capire e sapere di più.

 

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Alcune istituzioni culturali di San Donato:

Cosa rende un edificio sostenibile?

Gli edifici e il settore delle costruzioni sono responsabili di quasi il 40% dell’uso finale di energia a livello mondiale e emissioni di CO2 legate al processo. In altre parole, ci vuole molta energia per costruire, riscaldare, raffreddare, illuminare e mantenere i nostri edifici. Ma sostenibilità in architettura non è sinonimo solo di risparmio energetico o riduzione dei consumi. L’architettura sostenibile vuole limitare l’impatto ambientale degli edifici ponendosi come obiettivi l’efficienza energetica, ma anche il miglioramento della salute e della qualità di vita degli abitanti senza arrecare danno o disagio agli altri e all’ambiente.

La sostenibilità di un edificio è valutata attraverso protocolli e sistemi di certificazione che stimano l’impatto della costruzione sull’ambiente durante tutto il suo ciclo vitale. I criteri di valutazione di questi protocolli riguardano aspetti molto diversi: il territorio in cui un edificio è inserito (per esempio si privilegia suolo già antropizzato), la performance energetica dell'involucro e degli impianti, il fabbisogno idrico, l'impiego di materiali riciclati, i rifiuti solidi prodotti regolarmente, la qualità dell'aria all'interno, il comfort luminoso, e molto altro. 

Ci sono quindi molte azioni che si possono intraprendere per migliorare la sostenibilità di un edificio, anche dopo la sua costruzione. Per esempio, l'80% delle persone intervistate non sa in che classe energetica si trova l'edificio che ospita la loro attività, e in generale c'è scarsa consapevolezza sull'impatto di scelte quotidiane come i prodotti usati per la pulizia, l'utilizzo di cellule fotoelettriche, l'arredamento.

 

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Mitigazione e adattamento ai cambiamenti climatici

Gli eventi climatici estremi come alluvioni, smottamenti, tifoni, ondate di caldo o gelo sono un rischio sempre maggiore per tutti i paesi del mondo. Le strategie definite a livello internazionale e nazionale per affrontare queste minacce climatiche – dall’Accordo di Parigi del 2015, per arrivare all’Agenda 2030 delle Nazioni Unite per lo Sviluppo Sostenibile, al più recente Green Deal europeo nonché al successivo Recovery e Resilience Facility Plan – sono di due tipi. La mitigazione, ovvero l’insieme delle azioni di prevenzione che agiscono sulle cause delle emissioni di gas serra provenienti dalle attività umane per arrestarne o rallentarne l’accumulo in atmosfera e l’adattamento, che agisce invece sugli effetti dei cambiamenti climatici, con l’obiettivo di contenerne gli impatti negativi sui sistemi ambientali e socio-economici e massimizzare eventuali impatti positivi, mantenendo le condizioni per uno sviluppo sostenibile, anche secondo il principio di equità intergenerazionale. Le due strategie sono complementari: quanto maggiore sarà l’impegno per la mitigazione, tanto minori saranno le esigenze di adattamento e viceversa. 

In Italia, le Piccole Medie Imprese sono estremamente esposte ai rischi meteo-climatici. Ai danni diretti, come la rottura di macchinari o la perdita delle merci a seguito di un allagamento, si sommano l’interruzione della produzione e altri danni indiretti che possono avere conseguenze ancora più pesanti per l’azienda. Le PMI però non possiedono adeguati strumenti di valutazione e gestione del rischio. Per far fronte a questa mancanza è nato il progetto Derris, che ha sviluppato uno strumento semplice ed immediato che dia alle PMI la possibilità di capire a quali rischi sono esposte in caso di eventi meteo-climatici estremi, e quali potrebbero essere le soluzioni da applicare nella propria azienda per prevenire i danni.

 

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Quanto costa rendere sostenibile un edificio?

Certo, molti degli interventi da intraprendere per migliorare la sostenibilità di un edificio esistente (o per costruirne uno ex novo) sono strutturali e dunque richiedono investimenti importanti. I cosiddetti ecobonus sono stati di aiuto per molti edifici, ma non si può fare affidamento esclusivamente su questo tipo di misura.  

È importante però ricordare che ci sono molte altre azioni possibili per ridurre l'impatto degli edifici in cui viviamo e lavoriamo, e spesso hanno costi decisamente più contenuti.   

Per esempio, il 66% delle persone intervistate non ha contratti di fornitura luce e gas che utilizzano fonti rinnovabili, e il 20% non sa da dove proviene l'energia che utilizzano. La differenza di costo tra una fornitura che utilizza fonti fossili e una di fonti rinnovabili è molto bassa, ma l'impatto di questa scelta sull'ambiente è grande.  

Altre azioni economicamente accessibili sono l'acquisto di elettrodomestici ad altissima classe energetica, l'installazione delle termovalvole, o la scelta di materiali naturali per interventi di ristrutturazione (pietra, legno, gesso, vetro).

Inoltre, la sostenibilità di un edificio non si misura solo rispetto al suo impatto ambientale, ma anche a quello sociale. In questo senso, per esempio, il 35% delle persone intervistate afferma che lo spazio della propria attività è accessibile e il 26% afferma che lo è in parte. Sebbene una completa accessibilità non sia semplicissima da ottenere, dotarsi di pedane, segnaletica multisensoriale, e altri accorgimenti che rendano gli spazi più inclusivi è un investimento piccolo ma con grandi conseguenze. 

 

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La sostenibilità sta in tutta la filiera

Come si può aumentare la sostenibilità di un'attività commerciale? È una domanda a cui è molto difficile rispondere. Ancora di più se consideriamo l'intreccio tra sostenibilità ambientale e sociale. Quando si cerca di capire se un prodotto è sostenibile bisogna guardare l'intera filiera di produzione in cui è inserito. Ad esempio, non è sufficiente che la produzione di cibo sia biologica, anzi, le variabili da considerare sono molte altre: è prodotto in grandi estensione monocolturali o in fattorie medio-piccole che conservano una maggiore varietà colturale? Oppure: è prodotto da grandi aziende che utilizzano lavoro bracciantile o in cooperative che curano l'inclusione sociale di soggetti svantaggiati? E quando si tratta di allevamenti: a quali protocolli rispondono? Si tratta di animali allevati all'aperto nutriti di fieno e di sole, o in grandi stalle con mangimi e antibiotici? Da dove provengono i prodotti? Certo le arance in Piemonte non le produce nessuno, ma come scegliere tra quelle che arrivano dal sud Italia o dalla Spagna, dal Marocco o dalla California? A proposito, avete sentito parlare delle mandorle californiane che, prodotte su milioni di ettari di terreno, contribuiscono a prosciugare le falde acquifere e a sterminare le api? 

Altrettanto difficile è il tema della sostenibilità riguardo all'abbigliamento, dal momento che le variabili da considerare riguardano i criteri ambientali con cui si producono i tessuti, il lavoro necessario per produrli, la loro durabilità, riutilizzabilità e infine riciclabilità. 

Dal questionario somministrato a negozi e associazioni del quartiere San Donato emerge che solo il 27% ha scelto l'opzione “Cura della sostenibilità dell’intera filiera di produzione di beni e servizi”, mentre il 32% l'opzione “Comportamenti di consumo responsabili e sostenibili nella propria quotidianità”. Esistono in San Donato casi interessanti e ci sono negozi attenti a evitare sprechi e ridurre il problema del packaging in plastica. La scelta di prodotti sostenibili richiede comunque qualche competenza in più che un'intenzione e una conoscenza superficiale.

 

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Qualsiasi bottega o ufficio può verificare la sostenibilità delle proprie forniture. Fare un'analisi delle filiere, acquistare energia prodotta da fonti sostenibili, evitare le trappole del greenwashing. La cooperativa Verdessenza, ad esempio, può garantire sia prodotti sostenibili che consulenza e accompagnamento per chiunque voglia intraprendere un percorso di sostenibilità, grazie al progetto Abbasso Impatto.

Quante volte in un anno hai bisogno di usare un trapano?

Made in Italy vuol dire sostenibile? La certificazione biologica è sempre un vantaggio per la sostenibilità? Utilizzare materiale riciclato è meglio? In generale sì, ma vale la pena aggiungere qualche avvertenza. Partiamo da un dato certo: più materia prima si consuma e più beni si mettono in commercio, minore è la sostenibilità del sistema. Detto in altre parole: più si produce e si consuma, più alti saranno i consumi di materia prima ed energia. Quindi, le tre affermazioni iniziali sono vere per quanto riguarda il singolo prodotto, ma sono quasi sempre false rispetto all'evoluzione generale del sistema, perché la crescita dei consumi finisce per annullare i vantaggi della maggiore efficienza. 

Come si fa dunque a orientarsi verso la sostenibilità? L'unica cosa da fare è consumare meglio: comprare oggetti di qualità, durevoli e riparabili, e non acquistare mai beni con utilizzo saltuario (quelli si possono affittare o prendere in prestito). Esistono diverse esperienze create dal basso che consentono di mettere a disposizione di tante persone gli oggetti di utilizzo saltuario. Quante volte in un anno avete bisogno di usare un trapano? Ecco, un solo trapano potrebbe bastare per almeno 5 o 6 famiglie!

Per quanto riguarda l'abbigliamento, l'orientamento migliore è quello di acquistare solo capi in tessuto naturale (cotone, lino, lana), che hanno una durata maggiore e sono anche più semplici da riciclare riutilizzando le fibre. Meglio se le fibre naturali provengono da allevamenti e coltivazioni biologiche, che riducono il consumo di suolo e di acqua. L'uso crescente di materiale plastico nella produzione dei tessuti (poliestere, elastane, polipropilene) li ha resi sempre meno riutilizzabili e difficili da riciclare. A causa della cosiddetta “fast fashion” la produzione di abbigliamento è raddoppiata tra il 2000 e il 2015, ma si è notevolmente ridotto il numero di utilizzi medio per ogni capo di abbigliamento, da 200 a 150. L'industria tessile, inoltre, risulta essere una delle principali cause del cambiamento climatico emettendo circa il 10% di gas a effetto serra lungo tutta la sua filiera.

 

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I commercianti: un presidio educativo

Il mercato dei cosiddetti prodotti “ecofriendly” è in crescita in tutta Europa. Ma tale tendenza è diseguale sui singoli territori ed è anche molto confusa, perché le informazioni e le competenze dei consumatori non sono sempre sufficienti a operare adeguate distinzioni. Per questo motivo il ruolo dei commercianti è decisivo, perché possono orientare il consumatore, diventando una sorta di presidio educativo. Tale operazione, però è possibile solo in un contesto aziendale coerente. Vuol dire che il tema della sostenibilità va integrato nella strategia aziendale e nella comunicazione, altrimenti i prodotti sostenibili diventano solo prodotti confusi tra altri prodotti, solo un po' più cari. 

Per quanto riguarda invece il packaging e lo sfuso, negli anni scorsi si è fatto un gran parlare di riduzione nell'uso delle plastiche da imballaggio. È un fatto importante, tuttavia è necessario sapere che dal punto di vista dell'impatto ambientale il packaging non è l'unico e talvolta nemmeno il principale elemento. Anche su questo tema è importante il ruolo che giocano i commercianti come mediatori nei confronti di una clientela che riceve dai media tanti input e informazioni alla rinfusa che finiscono per pregiudicare la possibilità di costituire un orientamento di consumo coerente. 

Facciamo un esempio con i detersivi alla spina: è dimostrato, attraverso la metodologia del ciclo di vita, LCA, che un contenitore deve essere riutilizzato almeno 3 volte affinché il consumo di energia si riduca rispetto a un contenitore monouso. Bisogna prestare attenzione dunque alla qualità dei contenitori, che quando sono di bassa qualità si sformano, diventando inutilizzabili. Inoltre, bisogna prestare attenzione al contenuto. Infatti un detergente prodotto con criteri sostenibili, ad esempio partendo da materiale di origine vegetale, in impianti a basse emissioni, magari prossimi ai luoghi di utilizzo, è comunque più sostenibile di un prodotto che deriva da componenti chimiche di sintesi realizzati in impianti fortemente inquinanti.

 

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